LIBRI DIVERTENTI / SCRITTORI UMORISTICI
Una Storia divertente: COMMEDIE, POEMI EROICOMICI E LIBRI PER RIDERE
Da Omero all’Umanesimo, breve excursus sul teatro e la letteratura di genere comico, parodico, satirico e umoristico. Ecco un elenco di opere e libri divertenti imperdibili.
9 AUTORI UMORISTICI DELL’ANTICHITÀ (in questa pagina): Omero / Aristofane / Menandro / Nevio / Plauto / Orazio / Petronio / Giovenale / Apuleio
12 SCRITTORI UMORISTICI CLASSICI E MODERNI (Visita la pagina dedicata)
Boccaccio / Chaucer / Macchiavelli / Rebelais / Croce / Tassoni / Moliére / Wilmot / Swift / Montesquieu / Voltaire / Goldoni / Alfieri
13 AUTORI UMORISTICI DEL IX SECOLO (Visita la pagina dedicata)
Gogol’ / Dickens / Twain / Wilde / Shaw / Jerome / Čechov / Pirandello / Hašek / Savinio / Duff / Huxley / Campanile
29 SCRITTORI UMORISTICI CONTEMPORANEI (Visita la pagina dedicata)
Gibbons / Waugh / Warren / Guareschi / Wilson / Lewis / Vonnegut / Meneghello / Durrell / Heller / Fo / Richler / Villaggio / Roth / Allen / Tootle / Pynchon / Paasilinna / Ovadia / Lewycka / Benni / Pratchett / Adams / Moore / Bergonzoni / Wallace / Beatty / Auslander / Righele
Una selezione
affatto seria di libri divertenti
di Manuel Righele
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Autori Umoristici dell’Antichità
INDICE DEGLI AUTORI
Omero (VIII secolo a.C. Grecia)
Aristofane (450 a. C. – 385 a.C., Grecia)
Menandro (450 a. C. – 385 a.C., Grecia)
Nevio (Capua o Atella, tra il 275 e il 270 a.C. – Utica, 201 a.C., Latino)
Plauto (Sarsina, Forlì-Cesena, tra il 255 e il 250 a.C. – Roma, 184 a.C., Latino)
Orazio
Petronio (Marsiglia, 27 – Cuma, 66, Latino)
Giovenale
Apuleio (Madura, Algeria 125 – Cartagine, 170, Latino)
Omero (VIII secolo a.C.) | Greco | Batracomiomachia (Parodia; Poemetto eroicomico)
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Primo esempio di parodia e antesignano dei poemi eroicomici, la Batracomiomachia (Βατραχομυομαχία / Batracomiomakia – La guerra dei topi e delle rane) è attribuita ad Omero, che l’avrebbe vergata dopo la stesura dell’Iliade e prima di mettere mano all’Odissea. Per Plutarco l’autore sarebbe Pigrete di Alicarnasso, ma stante la «questione omerica» – per cui nessun Omero sarebbe mai esistito e perciò non avrebbe scritto nemmeno l’Iliade e l’Odissea – non sembra questa la sede opportuna per indagare oltre. Senza entrare nel dettaglio, quindi, è però interessante notare uno degli aspetti simbolici legati alla figura di Omero.
Per alcuni il nome Omero origina dal greco ὁ μὴ ὁρῶν (ho mḕ horṑn) che significa «il non vedente». In tal senso Omero rappresenterebbe non tanto un individuo, ma il modello del poeta nell’antichità. La cecità, infatti, indicava la facoltà di avere accesso alla dimensione del sacro e designava l’uomo che aveva doti profetiche e di profonda saggezza. La mancanza di vista sul mondo era predisposizione ad accogliere visioni più profonde, ispirate dalle Muse. Demodoco nell’Odissea è cieco, così anche Tiresia lo è. La Batracomiomachia non rientra nel genere dei romanzi umoristici, ma è un operetta parodica (più avanti parleremo della parodia).
A svolgere funzione parodistica sono il lessico elaborato con iperboli ed elencazioni estenuanti; gli impliciti riferimenti agli elementi dell’epica (compare un «inganno di legno» che è un chiaro rimando al cavallo di Troia dell’Iliade); i personaggi, animali che agiscono con intenti umani, come nelle fiabe di Esopo, ma con prerogative eroiche, che creano un allontanamento irriverente con funzione anti-mitopoietica (contro la creazione di miti) laddove si passano in rassegna – come nella tradizione epica – le diverse tipologie di morte sul campo di battaglia.
La storia racconta di una battaglia tra Rane e Topi che dura un giorno: il re delle rane Gonfiagote fa salire sulla schiena il topo Rubabriciole, figlio del re dei topi Rodipane, e lo porta a visitare il lago, ma quando s’imbatte in un serpente acquatico, s’immerge per sfuggirgli e, così facendo, lascia annegare Rubabriciole. Questo evento scatena la guerra.
De le ranocchie il popolo si scosse
A la triste novella. Usciro in terra;
E mentre consultavano qual fosse
L’improvvisa cagion di quella guerra,
Ecco venir Montapignatte il saggio,
Figlio del semideo Scavaformaggio.
Omero, Batracomiomachia, Canto II, 9, 1 (nella traduzione di Giacomo Leopardi)
L’opera ha avuto un’influenza sul genere eroicomico che prese piede in rivolta al canone definito da Torquato Tasso, così fu d’esempio per Il ricciolo rapito di Alexander Pope e La secchia rapita di Alessandro Tassoni. Come si ricorda alla voce Batracomiomachia nell’enciclopedia Treccani, il poemetto è stato imitato da «Rollenhagen nel Froschmeuseler (1595), e ispirò a G. Leopardi una sorta di continuazione in ottava rima, I paralipomeni della Batracomiomachia (postumo, 1842)»
Tematiche: dei, religione, morte, guerra, epica, mito
L’opera: Batracomiomachia nella traduzione di Giacomo Leopardi.
Aristofane (450 a. C. – 385 a.C.) | Greco | Nuvole (Commedia)
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La satira del commediografo Aristofane fu, senza tema di smentita, una satira impegnata. Il suo contenuto fu eminentemente politico e se da un lato conferì alle sue commedie una finalità pedagogica, dall’altro le rese strumenti capaci di influenzare il governo ateniese (per alcuni fu in seguito alla commedia Nuvole, in cui Aristofane irride e accusa i sofisti, e in particolare Socrate, che venne decretata la condanna a morte del filosofo, ma non sembra plausibile). Aristofane pensava che gli Ateniesi fossero per buona parte dei creduloni, così elesse i temi dell’attualità mettendoli al centro delle sue opere. Questi temi sono:
- l’influenza esercitata dalle mode culturali affrontata in Rane;
- il rapporto tra demos (δῆμος / dèmos, popolo) e i demagoghi affrontato in Babilonesi, Nuvole, Cavalieri, Vespe;
- il conflitto di classe (in Nuvole);
- il rapporto tra democrazia formale e democrazia reale (in Cavalieri)
- la ricchezza distribuita non in base a criteri di merito; in particolare i problemi di prestito e restituzione di denaro, che erano un tema ricorrente nella commedia antica (in Nuvole, Pluto, Gli uccelli, e Ecclesiazuse)
- la differenza di genere e la condizione delle donne – per alcuni Aristofane fu un femminista ante litteram – (in Ecclesiazuse o Le donne a parlamento e Lisistrata (il primo testo noto in cui venga trattato il tema dell’emancipazione femminile, anche se in modo strumentale ad un effetto di rovesciamento utile ad affrontare un’altra tematica, ovverosia la guerra; ai tempi di Aristofane, infatti, le donne di Atene godevano di minori liberta rispetto a quelle di Sparta, avevano come compito quello di generare e accudire i figli, gestire la casa, se necessario svolgere un lavoro, ma erano a loro precluse le cariche pubbliche, l’istruzione e l’esercizio fisico);
- la guerra e il pacifismo (in Acarnesi e Lisistrata)
Nuvole (Coro): Te li sei procacciati da te stesso, i guai, dandoti all’arte del briccone!
Strepsiade: Perché, quand’è così, non me l’avete detto quand’era tempo, e avete messo su questo pover’òmo vecchio e zotico?
Nuvole (Coro): Sempre così facciamo, a chi vediamo che piglia gusto a fare birbonate, finché poi lo cacciamo in qualche guaio, sí ch’egli impari a rispettare i Numi.
Aristofane, Nuvole, BUR
Nuvole (Νεϕέλαι / Nefélai – Nuvole), commedia di Aristofane che ottenne il terzo premio alle Dionisie del 423 a. C.
Accolta con freddezza, la commedia non fu più rappresentata. Il campagnolo Strepsiade è insonne, le sue notti sono agitate, a causa dei debiti contratti dal figlio Fidippide, per correr dietro alla sua smania per i cavalli. Sapendo che ad Atene c’è una scuola dove s’insegna ad aver la meglio in qualunque disputa, grazie all’abilità nel discorrere, chiede al figlio di andarvi, ma questi si rifiuta perché quelli che la frequentano fan tutti la fine degli straccioni, mal nutriti, mal vestiti e male in arnese.
Aristofane, Nuvole, BUR 2001, ISBN 9788817173360
Così Strepsiade, sopraffatto dalla disperazione, con lo scetticismo dell’uomo ignorante e pragmatico, va di persona ad incontrare il maestro, tale Socrate, per chiedergli di dargli lezioni. Socrate mette alla prova il contadino che si dimostra di dura cervice e declina la richiesta. Strepsiade così costringe il figlio a prendere lezioni da Socrate e ben presto il frutto degli insegnamenti si palesa: Fidippide torna raffinato retore e scaltro manipolatore, solo che invece di usare questa sua nuova arte verso i creditori, ne dà prova usandola contro il padre, che reagirà da par suo. Il ritratto che Aristofane fa di Socrate, il pensatore più discusso dell’epoca, è impietoso.
Ne emerge un losco e suadente imbonitore che adesca aspiranti truffaldini per insegnar loro a concionare, un imbroglione che fa da mentore a futuri imbroglioni. La commedia, così, passando da una trovata brillante ad un’altra, arriva ad un epilogo in cui l’autore dà il suo responso: la disonestà è come un’epidemia che dilaga e travolge imbrogliati e imbroglioni nel suo incendio.
Le nuvole
Il titolo della commedia è un riferimento all’ineffabile e sfuggente natura delle nubi, che vengono impersonate dai corèuti. Invocate da Socrate, simboleggiano l’effimera inconsistenza di sofismi e ragionamenti astrusi; quando sorvolano Strepsiade, lo incoraggiano a perseverare nello studio degli imbrogli e della retorica. Ma nel momento della disfatta, si rivelano per quello che sono, volubili e meschine, rivelano di aver imbrogliato l’ingenuo e perfido contadino, usando la sua stessa arma, per punirlo del suo proposito d’imbrogliare il prossimo.
Il protagonista, però, non è Socrate bensì Strepsiade, che è il centro dei conflitti su cui si edifica la trama: il conflitto tra generi (tra lui e la moglie), il conflitto generazionale (tra lui e il figlio), il conflitto di classe (tra lui e la famiglia che ha modi e vezzi aristocratici, mentre lui è rimasto uno zotico dalla tirchieria ossessiva), il conflitto di estrazione culturale (tra lui, agricoltore, e Socrate, pensatore).
Certo questi elementi sono alleggeriti dagli aspetti buffoneschi e da qualche ricorso alla volgarità, come nel caso de compiacimento stercorario che compare all’inizio. Come ricorda Alessandro Grilli (Introduzione ad Aristofane, Le Nuvole, Rizzoli BUR, Milano, 2017, p. 25), vi sono altri protagonisti delle commedie di Aristofane che hanno tratti buffoneschi, bassi e agiscono comportamenti di dubbia morale, ma a differenza di Strepsiade, non sono confusi e non percepiscono se stessi come ingiusti, inoltre identificano chiaramente chi li ostacola, chi è il loro nemico, mentre Strepsiade non solo non capisce che il suo nemico è il figlio, ma lo coinvolge nella soluzione.
Se da un lato è il meccanismo da cui si sprigiona il ribaltamento comico, dall’altro tutti questi elementi impediscono allo spettatore/lettore di provare empatia o di immedesimarsi con il protagonista della divertente storia.
Umorismo scatologico
Questo genere di umorismo usa l’osceno e la volgarità per suscitare il riso. Ha probabilmente la funzione di scardinare le forme di tabù e le consuetudini, che in un contesto pubblico, considerano lesivo del comune senso del pudore, affrontare argomenti pertinenti alla dimensione biologica, come deiezioni e secrezioni. In parole povere, è il ricorso ad argomenti relativi alla defecazione, alle flatulenze, al vomito, alla minzione e in generale al disgusto che può generare l’attività corporale degli uomini, anche quella di natura sessuale o riferita al muco e alle mucose. Il termine deriva dal greco di forma attica σκῶρ / skòr che al genitivo fa σκατός / skatós, e significa ‘escremento’, da non confondere con il termine escatologia che deriva da ἔσχατος / éskhatos e significa ‘ultimo’ e si riferisce ad una specifica branca del sapere teologico e filosofico, che indaga il destino dell’individuo dopo la morte.
I dialoghi brillanti, e l’azione incalzante conferiscono alla commedia un’atmosfera divertente, l’incontro tra la mente diffidente e rozza di Strepsiade con i sofismi del maestro Socrate, fa scaturire riflessioni esilaranti e attuali, come il paradosso di un uomo (Strepsiade) che, per imbrogliar i creditori, è disposto ad acquisire i modi e le arti che rendono gli altri uomini che le praticano (Socrate) indegni e immorali ai suoi occhi. Il movente, come accade sempre nelle commedie di Aristofane, è un desiderio frustrato, «(…) la necessità – ricorda Alessandro Grilli, ibidem, p. 17) – di rovesciare uno stato critico di sofferenza e privazioni, per conquistarsi un accesso privilegiato al godimento (…)».
È proprio sulla privazione che s’innesta un’acuta osservazione del filologo che ci fa riflettere sul modo in cui la commedia esorcizza la paura della miseria: «(…) l’esecrazione comica associa povertà e ricchezza eccessiva (o recente) basando questo probabile collegamento su un elemento esteriore che le due condizioni sembrano avere in comune: il non far niente» (ibidem, p.27). In sostanza quel che la commedia indica come auspicabile è l’equilibrio che si genera quando la ricchezza deriva da un’attività legittima, in assenza della quale chiunque è disonesto: il povero per gli espedienti non sempre onorevoli a cui dovrà far ricorso, il ricco per gli illeciti commessi che gli hanno fruttato il denaro.
Tematiche: differenze di ceto, conflitto di classe, meritocrazia, demagoghi e imbonitori, condizione femminile, guerra e pace
Menandro (450 a. C. – 385 a.C.) | Greco | Il misantropo (Commedia)
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Menandro fu autore prolifico e di grande successo, massimo esponente della Commedia Nuova, in auge nel primo periodo dell’età ellenistica (che convenzionalmente si fa iniziare con l’anno della morte di Alessandro Magno, avvenuta nel 323 a. C..). Questo tipo di commedia si discosta da quella di Aristofane: non prende di mira la politica o la società ateniesi, ma è ispirata da fatti che si svolgono nelle classi medie. Venendo meno la funzione di critica sociale e politica, scompare dalla struttura in atti, quel particolare momento chiamato παράβασις (parábasis – parabasi) in cui l’autore – per bocca di uno dei suoi personaggi – esprimeva un parere morale.
Generalmente non era uno dei protagonisti a farlo, ma il membro più importante del coro, il coriféo, che stava a guida degli altri membri chiamati corèuti: questi andava alla ribalta, si toglieva la maschera e si rivolgeva esplicitamente alla prima fila, dove sedevano gli esponenti di spicco, i politici e gli uomini illustri. È possibile che la parabasi cessò di essere praticata, dal momento in cui l’organizzazione sociale divenne molto articolata, la città estesa e popolosa non consentiva più di avere un rapporto di conoscenza diretto e informale con chi ricopriva le cariche pubbliche. Per chi fosse interessato all’argoento, Laterza rende disponibile un approfondimento sull’organizzazione sociale ad Atene, dalla pòlis ai regni ellenistici.
Il misantropo (Δύσκολος / Dyskolos – Misantropo) fu una commedia che, nel 317 a. C., valse a Menandro il primo premio in occasione delle festività ateniesi dedicate a Dionisio Leneo. È l’unica commedia che è giunta sino a noi pressoché integra, ma vi è giunta recentemente, grazie al ritrovamento dei papiri Bodmer (dal nome del loro acquirente) avvenuto nel 1957. Tutto comincia con un’iniziativa del dio Pan che fa innamorare un ricco elegantone di nome Sostrato di una campagnola.
La ragazza è figlia di Cnemone, un vecchio contadino misantropo, che bada solo ai suoi coltivi. Vive in casa con la figlia e una serva, mentre la moglie l’ha lasciato e se n’è andata a vivere da Gorgia, il figlio avuto da una precedente relazione. Imprevisti, incidenti, sospetti e soprattutto il contrasto generato dalla provenienza sociale di Sostrato che deve ingraziarsi il vecchio misantropo Cnemone, agendo in un mondo contadino in cui si muove come un pesce fuor d’acqua, creando un effetto di straniamento in cui risaltano le abitudini date per scontate e in cui si genera un’autoriflessione.
Tematiche: misantropia, avarizia, morbosità, cultura contadina, amore, inganno
Gneo Nevio (Capua o Atella, tra il 275 e il 270 a.C. – Utica, 201 a.C.) | Latino | Il gioco (Ludus, Commedia)
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Delle commedie di Gneo Nevio sono rimasti pochi versi (125, secondo quanto riporta Gian Biagio Conte), ma è una figura di polemista che per certi aspetti è antesignana di umoristi caustici e stand-up comedians che hanno sfidato la legge e persone importanti, subendo delle condanne (come ad esempio Lenny Bruce o Giovannino Guareschi).
Si sa, infatti, che fu un autore molto apprezzato a Roma, fino a quando, la sua satira feroce infastidì la famiglia Metello. Venne incarcerato e solo grazie all’intervento dei tribuni della plebe, la sua condanna venne commutata in esilio in Tunisia. Lì scrisse il suo epitaffio e si suicidò. Il retroscena racconta di un intenso scambio di invettive (altercationes) intercorso tra Nevio e la potente famiglia dei Metelli in occasione della nomina a console di uno dei suoi esponenti. Nevio scrisse il noto Fato Metelli Romae fiunt Consules, frase sagacemente ambigua che poteva essere intesa in tre modi:
- Per fortuna i Metelli sono eletti consoli a Roma.
- Per sfortuna i metelli (operai a giornata) sono eletti consoli a Roma.
- Per la rovina di Roma, i Metelli sono eletti consoli.
I Metelli risposero con l’altrettanto polisemica Malum dabunt Metelli Naevio poetae, che poteva significare:
- I Metelli la faranno pagare cara al poeta Nevio.
- I Metelli daranno una mela al poeta Nevio.
Come testimoniato da Plinio il Vecchio, citando la pomposa orazione funebre con cui Quinto Cecilio Metello, nel giorno delle esequie, aveva elogiato il defunto padre, l’alterigia del clan gentilizio dei Metello era assai nota ed è da un’allusione contenuta nel Miles gloriosus di Plauto, che si ricava che fu proprio questa potente famiglia a incriminare e incarcerare Nevio (come si è detto, l’alterco si svolse nel periodo in cui Quinto Cecilio Metello venne nominato console, mentre il fratello Marco era pretore).
Le commedie di Nevio erano satiriche, alludevano all’attualità politica e ne mettevano in ridicolo vizi, incompetenze e soprusi. Così, nel Ludus, è verosimile che, parlando di stulti adulescentuli, si riferisse ai giovani Metello, plebei e arroganti, e in un altro passo menzionasse uno dei loro più noti sodali, Publio Cornelio Scipione (che poi sarà detto l’Africano). Eppure Nevio fu prima di questo l’inventore del dramma storico nazionale latino.
Diede vita alla tragedia di argomento romano, detta fabula praetexta (dal nome della toga orlata di porpora tipicamente romana), che introdusse in contrapposizione alla fabula cothurnata (dal nome degli stivali con suola alta indossati dagli attori tragici greci), che era di ambientazione e argomento greci.
TIPOLOGIA | GENERE | ARGOMENTO | INIZIATORE |
---|---|---|---|
fabula cothurnata | Tragedia | Greco | Livio Andronico |
fabula praetexta | Tragedia | Latino/Romano | Gneo Nevio |
fabula togata | Commedia | Latino/Romano | Titino |
fabula palliata | Commedia | Greco | Livio Andronico |
La fabula cothurnata era stata introdotta a Roma dal tragediografo Livio Andronico, che ispirandosi a Eschilo, Sofocle ed Euripide, aveva cercato di dare una struttura più formale e compiuta alle rappresentazioni drammaturgiche, che fino a quel momento venivano messe in scena: mere espressioni popolari, basate sull’improvvisazione, come i fescennini versus e le commedie dai toni farseschi appartenenti al genere atellana.
Passando dalla tragedia alla commedia, Nevio continuò ad affrontare tematiche importanti, sociali e politiche, nonostante le sue produzioni appartenessero al genere della fabula palliata (il nome deriva da un capo di vestiario chiamato pallium, che era una mantellina indossata dagli attori comici greci) che aveva argomento, ambientazione, personaggi e titolo greci (in contrapposizione alla meno fortunata fabula togata di ambientazione romana).
La fabula palliata si diffuse nel corso del III secolo a. C. e subì l’influsso della commedia nuova ellenistica, di cui, come si è visto, era stato massimo esponente Menandro, ma per la carica morale, la denuncia di costume, la critica sociale e politica, Nevio sembra più vicino alla più impegnata commedia di Aristofane..
Come per la fabula cothurnata, ad introdurre per primo la fabula palliata fu Livio Andronico, tragediografo, di cui è documentata la produzione, ma le cui opere sono andate perdute (ne esistono solo sei frammenti). Si sa che scrisse tre fabulae pallatae: la prima intitolata Virgus o Valgus o Verpus (titoli che rispettivamente significano (1) Il vergine, (2) L’uomo con i piedi storti e (3) Il circonciso), la seconda Ludius (L’istrione) e la terza Gladiolus (Lo spadino).
Il teatro comico di Nevio fu, dunque, più impegnato di quelli coevi e a costituirne l’ossatura era l’irriducibile difesa della libertà di espressione. Le sue trentadue fabulae furono tali da meritare l’attenzione del grammatico Volcacio Sedigito che annoverò il poeta tra i dieci più grandi commediografi latini di tutti i tempi e un caposaldo della letteratura umoristica latina.
Tematiche: libertà di espressione, critica sociale, satira politica
Approfondimento: un ottimo approfondimento di Francesco Cerato in Studia Humaninatis
Plauto (Sarsina, Forlì-Cesena, tra il 255 e il 250 a.C. – Roma, 184 a.C.) | Latino | Il soldato spaccone (Miles gloriosus – Commedia)
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È bene premettere che le opere di Plauto sono rielaborazioni di commedie greche. Non si tratta di un’abitudine al plagio, ma di una pratica diffusa tra i commediografi latini: la contaminatio, mediante la quale si attingevano elementi narrativi, personaggi, trame ed episodi dalle opere preesistenti e si innervavano adeguandole al gusto e al costume romani, riscrivendo e generando nuove trame.
Mash-up, Parodia, Satira e Pastiche
In parte simile al procedimento della contaminatio, è il mash-up, uno stile compositivo che viene usato in ambito audiovisivo. Il mash-up consiste nella selezione di spezzoni di audio e video preesistenti, combinati con intenti comici e satirici (si pensi, ad esempio, a Blob). Anche nella parodia si assiste a un processo analogo di appropriazione, che porta, però, a un risultato diverso. Le parodie possono riferirsi a (1) una singola opera (la Batracomiomachia, come si è visto sopra, ne è il più antico esempio, o il Young Frankenstein di Gene Wilder e Mel Brooks ne è un più moderno risultato., peraltro straordinario; rientra nella parodia anche un breve racconto di Umberto Eco, Nonita comparso in Diario minimo, pubblicato da Mondadori nel 1963, che prende come oggetto referenziale Lolita di Vladimir Nabokov, e lo modifica. Eco ottiene un effetto comico, cambiando l’origine del desiderio proibito che non è più una provocante ragazzina, ma una vecchietta) o a (2) un intero genere (i film sugli squali, i film dell’orrore, ecc.). La differenza degli esiti di questi procedimenti compositivi è legata alla volontà dell’autore.
Nel caso della contaminatio, lo scopo è quello di creare una nuova storia, una nuova commedia. Per il mash-up lo scopo è, invece, suscitare ilarità mediante la giustapposizione di sequenze video o la composizione di discorsi ritagliando, decontestualizzando e ridefinendo il significato complessivo di una serie di dichiarazioni; in alcuni casi vengono realizzate elaborazioni lunghe con un nuovo filo narrativo, ma generalmente i mesh-up sono brevi, con il gusto del paradosso o dell’assurdo.
Nel caso della parodia, invece, al centro rimane l’opera o il genere da cui deriva, che è fatto bersaglio di dileggio. Il celebre critico letterario Michail Bachtin parla della parodia in termini di «scoronamento dell’eroe», ne sottolinea quindi la funzione demitizzante. Il meccanismo stravolge gli elementi narrativi o li estremizza fino all’assurdo, in altri casi ne sostituisce solo alcuni creando straniamento e contrasto, dileggiando soprattutto gli aspetti stilistici e testuali dell’opera originale (mentre un altro genere che le assomiglia, la satira, non si orienta agli elementi del testo, ma agli insegnamenti morali della storia e la visione sociale). Si tratta, dunque, di una rielaborazione caricaturale, dai tratti sferzanti, ottenuta mediante storpiature di genere farsesco. Sempre nell’ambito del ‘riutilizzo’ si deve, infine, far menzione del pastiche, che è un componimento in cui – in tutto o in parte – compaiono citazioni, singoli brani fino ad arrivare ad intere sequenze di altre opere. In questo caso gli intenti vanno dal desiderio di omaggiare l’opera o il suo autore, fino alla volontà di farne scherno.
Pur ricorrendo ai modelli ellenici per i nomi dei personaggi e i luoghi, Plauto inventa una lingua straripante, sorprendente, che alterna arcaismi a neologismi, che accosta al sermo familiaris (quotidiano) l’italum acetum (il modo in cui ci si riferiva alla tipica comicità popolare basata su allusioni, doppi sensi e giochi di parole). Nella definizione della trama, l’abilità di Plauto è quella di fondare i presupposti della comicità su situazioni equivoche, spesso basate su scambi di persona, che collocano i protagonisti ignari in luoghi o momenti inappropriati, causando lo sbigottimento degli altri personaggi e ilarità nel pubblico che invece conosce la verità.
Come viene riportato in Wikipedia «la grande forza di Plauto sta nel comico che nasce dalle singole situazioni, prese a sé una dopo l’altra, e dalla creatività verbale che ogni nuova situazione sa sprigionare». Nondimeno Plauto ricorre anche a temi consueti e luoghi comuni (come quello sulle done pettegole) per ammiccare al pubblico, che viene sollecitato mediante elementi più accessibili e bassi, come la corporeità, che può essere grottesca o diventare spunto per volgarità. Non esita, inoltre, a rompere il canone della Poetica di Aristotele per riuscire a suscitare il riso.
Ad un certo punto, nell’antichità, le commedie che circolavano e venivano attribuite a Plauto erano più di 130. Da questa mole, Varrone ne selezionò 21, applicando le tecniche della filologia alessandrina, e queste selezionate da Varrone sono le commedie plautine che sono giunte sino ai nostri giorni. Gli schemi e le strutture con cui furono costruite sono ricorrenti, tanto che i critici hanno classificato in modo puntuale la funzione dei personaggi chiave (del servo, ad esempio, che in base alla funzione può essere servus currens, servus callidus o servus imperator). Le stesse commedie sono state catalogate secondo una tassonomia che ha lo scopo di definirne il tipo, in base al principale meccanismo comico. Una commedia, così, può essere definita:
- dei sosia (detti anche simillimi): quando ruota sull’asse dello scambio di persona, dello speculare o del doppio;
- dell’agnizione (il riconoscimento di un personaggio): se presenta un colpo di scena finale, in cui la vera identità di un personaggio viene svelata;
- della beffa: in questo caso la commedia ha come soggetto l’organizzazione di uno scherzo (per allietare o farsi beffa) di un personaggio o di un gruppo di personaggi;
- del romanzesco: dove emergono i temi dell’avventura e del viaggio;
- della caricatura (o dei caratteri): se si costruisce con episodi che servono a dare una rappresentazione iperbolica, ricca di esagerazioni, di un personaggio;
- del servus callidus: dove un servo scaltro e astuto aiuta il padrone ad ottenere ciò che desidera. Sovente si tratta di una donna per cui il servo escogita un piano con cui raggira il lenone (il magnaccia) o il vecchio padre;
- composita: che racchiude al suo interno uno o più elementi tra quelli sin qui considerati;
Tra le caratteristiche comuni si possono annotare tratti dei personaggi sempre marcati e ben differenziati, in modo tale che il pubblico non possa identificarsi con nessuno di loro (e si senta in vantaggio, un vantaggio che deriva dal fatto di conoscere più cose di loro – che magari sono emerse nel corso della storia – o per essere meno stupido).
Il soldato spaccone (Miles gloriosus): una delle più fortunate commedie di Plauto, nonché la più lunga (1437 versi)
Il titolo della commedia ossequia il vanaglorioso soldato Pirgopolinice (letteralmente, in Greco, espugnatore di torri e di città), che millanta imprese inverosimili e si loda per gesta mai compiute e illustri natali che non ha. Al suo fianco vive Artotrogo, meschino opportunista, che si spertica in lodi per averne benefici. Al centro della commedia, però, c’è il rapimento di Filocomasio, cortigiana amata da Pleusicle e l’agire astuto del servo di quest’ultimo: Palestrione che, architetta, con la complicità di altri personaggi, il modo per liberarla e restituirla al giovane padrone innamorato: si tratterà di una beffa basata sullo scambio di persona.
Plauto, Miles gloriosus, Mondadori, 2010, EAN: 2561146265879
Impossibile non pensare al rapimento di Elena di Troia (e per noi oggi inevitabile pensare anche a quello di Lucia Mondella dei Promessi Sposi), così come non si può non notare la funzione antitetica a quella del deus ex machina tipica delle tragedie, svolta nella commedia dal servo, che non solve, ma intrica la vicenda, muovendo gli altri personaggi che su sue indicazioni s’infingono e mentono, recitando una parte nella parte, quasi che andasse in scena una commedia nella commedia (e in tal senso assurge a una funzione meta-teatrale).
Come vedremo anche per Apuleio, spesso la commedia latina prende spunto da opere preesistenti della cultura greca. In questo causo Plauto dichiara esplicitamente nel prologo la sua fonte: il suo riferimento è Alazòn (Lo spaccone) di cui non conosciamo l’autore; nel secondo atto, inoltre, per bocca dell’astuto servo Palestrione, Plauto fa un riferimento a due opere, Φάσμα (Fàsma – il Fantasma) e Κόλαξ (Kòlax – L’Adulatore) che si suppongono riferite al commediografo Menandro, così come individuate dallo storico E. G. Turner, nei papiri di Ossirinco: il papiro 2825 per Il Fantasma e il papiro 2655 per L’Adulatore.
Nel 1963, Pier Paolo Pasolini pubblicò con Garzanti la sua versione di quest’opera con il titolo Il vantone e diede al testo, in doppi settenari con rima baciata, un registro ‘borgataro’ usando anche un lessico gergale romanesco com’era nello stile delle opere del teatro di avanspettacolo.
Tematiche: amore, costume, scambi di persona, equivoci, astuzie, scherzi, avventure, desideri, libri divertenti
Plautus festival: il miglior modo per approfondire la commedia plautina, è nell’Arena Plautina a Sarsina durante il Plautus festival.
Petronio (Marsiglia, 27 – Cuma, 66) | Latino | Satyricon (Romanzo satirico, Satira menippea)
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Del Satyricon abbiamo testi frammentati e lacunosi. Sappiamo che il suo autore fu probabilmente Petronio – Gaio Petronio Arbitro, noto anche come Tito Petronio Nigro – abile proconsole in Bitinia e raffinato viveur alla corte di Nerone, che venne da questi esiliato e costretto al suicidio in seguito alla congiura di Pisone.
La cena di Trimalchione (Cena Trimalchionis) che compare nel libro XV del Satyricon è l’unica novella giunta integralmente sino a noi, mentre altre parti dell’opera sono state rimaneggiate sin dalla loro comparsa per l’indecenza della pederastia e, infine, sono andate perdute. Per questo la sua ricostruzione organica è stata laboriosa e si presta ancora a molte perplessità.
Dramma Satiresco, un’origine antica
Nella Poetica di Aristotle apprendiamo che la Tragedia fu l’evoluzione di antecedenti forme drammatiche satiresche. Lo stagirita non si riferisce al Dramma Satiresco (σατυρικὸν δρᾶμα / satyrikòn drama – dramma satiresco) che fu un genere successivo alla Tragedia, ma a primitive cerimonie rituali, che nella loro forma più elaborata sono conosciute con il nome di ditirambo. Mentre la Tragedia, però, inglobò gli elementi satireschi, emendandoli progressivamente sino all’oblio, il Dramma Satiresco fu il loro più compiuto e naturale sviluppo. Probabilmente di origine pelasgica (i Pelasgi erano per i Greci dell’età classica, le popolazioni autoctone che abitavano le terre del Mar Egeo, prima dell’avvento dei loro antenati Elleni) il ditirambo era una composizione poetica corale in onore del dio Dioniso, in cui confluivano musica e danza. Allietati dal vino e guidati dal coriféo, i cortei di corèuti mascherati da Satiri (esseri della mitologia, personificazioni della fertilità e della forza vitale, che vivevano nelle foreste e assistevano Dionisio, Pan e Priapo) inneggiavano al dio, danzando e suonando flauti e tamburi.
Erodoto riporta che il ditirambo divenne un genere letterario a Corinto sul finire del VII secolo a. C. grazie ad Arione di Metimna. Nietzsche, in La nascita della tragedia, sottolinea come la congiunzione della componente dionisiaca (vitale, orgiastica) e quella apollinea (sognante e ordinata) siano sin dagli albori della tragedia la manifestazione di un pessimismo ‘non decadente’, che guarda al tragico (l’espressione nietzschiana è «gettare lo sguardo nell’abisso») opponendovi non tanto l’impotenza della ragione, ma il desiderio di dire «”sì” alla vita»). Per quanto concerne il Dramma Satiresco, sappiamo che fu il drammaturgo greco Pratina di Filune a codificarlo, dandogli piena dignità e rendendolo una delle tre forme, insieme alla tragedia e alla commedia, del teatro greco classico. Nella sua struttura ricordava la tragedia, ma presentava il tono farsesco della commedia. Le storie erano di tipo comico, o parodie di eventi appartenenti al mito. Nei concorsi riservati ai drammaturghi, era loro richiesto di portare tre tragedie e una quarta opera che fosse un Dramma Satiresco. Così di questo genere ci sono giunti frammenti di Eschilo, metà di un dramma di Sofocle, intitolato I cercatori di tracce, e l’opera di Euripide intitolata Ciclope.
Il Satyricon è un romanzo composito in prosimetro (che alterna versi e prosa), non un Dramma Satiresco e sarebbe riduttivo considerarlo meramente un libro divertente. Racconta le disavventure erotiche di Encolpio, studente di retorica colto e sfaccendato, che per uno sgarbo fatto alla divinità fallica Priapo, vedrà la sua vita trasformarsi in un’odissea d’intrallazzi e tragicomici insuccessi sentimentali. Lupanari, zuffe, furti, imbrogli e una profetessa zelante, che lo costringe a espiare il sacrilegio perpetrato ai danni del dio con un’orgia, sono l’esordio delle vicende che poi si spostano a casa di Trimalchione, un becero liberto, che ha fatto fortuna, ma che non ha perso i suoi modi volgari e inscena il suo grottesco banchetto funebre, lasciando emergere una pletora di temi licenziosi.
Petronio Arbitro, Satyricon, BUR 1995, pp. 525, EAN 9788817067041
La miscellanea di episodi, novelle, digressioni tra linguaggio parodico ed excursus morali trova, se non coesione, una certa unitarietà, mediante due tecniche narrative ricorrenti fin dall’antichità: una trama di ventura (il viaggio) e il momento del convito (la cena di Trimalchione). Come ricorda Annamaria Schwize Rindi, i protagonisti: «(…) sono una coppia di ragazzi di vita, Encolpio e Gitone, giovani senza famiglia e senza progetti, economicamente male in arnese, che si spostano da un luogo all’altro alla ventura, incautamente disponibili ad ogni incontro e occasione che loro si presenti. Culturalmente non sprovveduto, Encolpio ha una sua trasandata raffinatezza da intellettuale, che conferisce ironico distacco alla narrazione di cui si fa portavoce. Il suo rapporto col mondo sembra improntato a una svagata curiosità, priva di motivazioni: quando l’istinto o il desiderio o il capriccio lo tentano, Encolpio non oppone resistenza.
Nessun ritegno limita le sue capacità di esperienze; nessun riferimento alle istituzioni o all’etica della vita civile e alla radice sembra non esserci in lui neppure il desiderio di esperienze. Solo un certo stile di cultura lo sorregge». (Petronio Arbitrio, Satyricon, R.C.S. Libri & Grandi Opere S.p.A., Milano, 1994, pp.24-25).
Lo sguardo sferzante e raffinato con cui Petronio ritrae la nuova congerie culturale romana arriva al suo culmine con l’entrata in scena di Trimalchione, istrione che domina l’episodio della cena, esorbitando, elargendo ordini chiassosi, moniti e consigli, dirigendo il convitto pantagruelico, rimanendo sempre al centro di una mascherata autocelebrativa, ostentando una cultura abbozzata, fatta di «(…) citazioni orecchiate e di spropositi grossolani (confonde Annibale con Agamennone, Cassandra con Medea, il cavallo di Troia con la vacca di Pasifae); lui che al culmine del banchetto propina agli ospiti la sua autobiografia, con l’orgoglio del self-made man asceso dalla condizione di schiavo a quella di ricco possidente, uomo che “sa vendere e comprare” e che sulla sua tomba vorrà inciso “non è mai stato a scuola di filosofia». (Annamaria Schwize Rindi, ibidem). Figura emblematica che ricorda innumerevoli imbonitori, guru del self-help e leader dei nostri giorni.
«Vides illum» inquit «qui obsonium carpit: Carpus vocatur. Ita quotiescunque dicit: “Carpe”, eodem verbo et vocat et imperat».
«Lo vedi quello?» disse «quello che taglia la pietanza: si chiama Taglia. Sicché ogni volta che Trimalchione dice: “Taglia!”, con una parola lo chiama e gli comanda cosa fare».
Petronio, Satyricon, 36
Annoverare il Satyricon tra le opere comiche è dunque, come si è scritto, limitante: esso è anche la turbolenta storia d’amore di due ragazzi, Encolpio e Gitone, che attraverso episodi di liti, gelosia e dissapori, conduce il lettore tra le pieghe di una società alla deriva, opulenta, scostumata e orientata al ludibrio, almeno quanto inappagata dalla cupidigia. Così Encolpio fa da antitesi al suo maestro di retorica, Agamennone, che ha ceduto all’influsso dell’asianesimo, e antepone, per quanto sciocche, le richieste delle famiglie che gli affidano i figli, assecondandone l’ambizione futile, anziché prediligere il rigore e la fatica di un apprendimento savio.
Encolpio, retore, narra le vicende, definendo, da sé, questa smania di narrare come l’azione di un mitomane. Petronio introduce, quindi, in modo implicito, una funzione metalinguistica nel testo e una riflessione sulla mitopoiesi (l’inclinazione umana a reinterpretare e attribuire a persone e fatti un valore simbolico, da cui si generano miti, ideologie e culture) con l’intento ironico e autoironico, di perseguire l’obiettivo contrario, cioè quello di smascherare l’artificio dei retori che creano falsi miti. L’antitesi iniziale con il suo maestro Agamennone, ritorna verso la fine, quando, visitando una pinacoteca, Encolpio incontra un vecchio intellettuale, Eumolpo, al quale manifesta il suo disappunto per la decadenza dell’arte contemporanea.
Questo personaggio sembra essere il suo «doppio», cioè quello che Encolpio «(…) potrebbe diventare, nel declino di una vita sbandata e senza meta» (Annamaria Schwize Rindi, ibidem). Il tema del doppio ricorre ancora nella letteratura contemporanea e uno dei suoi più interessanti frequentatori è Michele Mari)
Questa funzione metalinguistica emerge anche dalle cinque novelle contenute nell’opera: di forte connotazione erotica, appartengono, come vedremo anche per Apuleio, alla tradizione della fabula milesia e Encolpio è allo stesso tempo narratore e protagonista. Le novelle sono:
- La Matrona di Efeso
- La novella del lupo mannaro
- La novella del vetro infrangibile
- La novella delle streghe
- La novella dell’Efebo di Pergamo
Come ricorda il latinista e filologo Paolo Fedeli, vi è anche un ricorso al tema del labirinto (Encolpio vaga per i vicoli di Pozzuoli, così come si perde a casa di Trimalchione). In questa chiave di lettura il ragazzo non è tanto uno sfaccendato, ma una persona smarrita, il suo peregrinare è un viaggio nel dolore, tra la perduta gente, nelle bolge del malaffare, traviato e ferito dalla volgarità di una società corrotta. Tra gli ammiratori dell’opera ci furono Auerbach, Nietzsche e Fellini; tra i suoi detrattori Benedetto Croce.
Tematiche: retorica, ricchezza, perversione, corruzione, viaggio, labirinto, decadenza, critica sociale, avventura, amore, erotismo, doppio, banchetti, ignoranza, libri divertenti
Approfondimento: un’introduzione al testo di Francesco Piccolo messo a disposizione da Giunti.
Satira
Si è definito il Satyricon un romanzo satirico, ma il termine romanzo è usato in modo improprio, in quanto l’opera non ha le caratteristiche del romanzo moderno. Il testo, infatti, per quanto lacunoso, consente di definirne una struttura in cui si alternano prosa e versi (prosimetro), che similmente alle Metamorfosi di Apuleio rispecchia l’«opera a cornice». Per alcuni, dunque, anziché catalogarlo tra i romanzi umoristici o romanzi satirici, il Satyricon appartiene al genere della satira menippea. Come riporta l’enciclopedia Treccani, la satira è un genere «originale della letteratura latina, inaugurato storicamente da Ennio nella forma di miscellanea poetica in vario metro su argomenti diversi (favole, riflessioni morali, ecc.)».
La satira si sviluppa successivamente in tre filoni:
(1) la satira esametrica: codificata compiutamente da Lucilio, ad essa si ispirarono Orazio e Giovenale. Questo filone si caratterizzò per:
– la forte aggressività anche politica;
– le tematiche spesso licenziose;
– un linguaggio quotidiano ed esplicito
(2) la satira menippea (dal nome del filosofo appartenuto alla corrente stoica Menippo di Gadara). Questa variante si caratterizzò per:
– la preminenza di una riflessione morale;
– gli inserti fantastici;
– il ricorso alla parodia.
Di stile composito, che alternava la prosa ai versi (definito come si è accennato prosimetro) fu introdotta a Roma da Terenzio Varrone. Ad essa appartiene il Satyricon di Petronio.
(3) similmente a quanto avvenuto per il mondo ellenico, vi sarebbe poi un terzo filone, quello della satira (o satura) drammatica, una forma primitiva, non elaborata, di rappresentazione di stampo liturgico, che secondo lo storico Tito Livio, sarebbe stata diffusa a Roma prima dell’avvento del teatro.
«Presso i Romani, con satira si intende una poesia che ora ha carattere denigratorio ed è composta per colpire i vizi umani seconda la maniera della commedia antica: tale fu quella che composero Lucilio, Orazio e Persio. Un tempo però veniva chiamata satira un’opera poetica che constava di componimenti vari come quella che scrissero Pacuvio ed Ennio»
(Diomede Grammatico, Grammatici Latini, I, 485 Keil.)
Apuleio (Madura, Algeria 125 – Cartagine, 170) | Latino | Le Metamorfosi (Metamorphoses -eōn, Romanzo umoristico)
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Le metamorfosi è l’opera più nota di Apuleio, una storia che contiene altre storie, un corpus composito di episodi collegati tra loro. È, dunque, «opera a cornice», avventura picaresca (o storia di viaggio), un insieme di racconti sventurati, tragicomici ed erotici, di episodi violenti, grotteschi, orrorifici e colpi di scena (il romanzo aduna in sé, quindi, molte delle caratteristiche che sono oggi dei libri umoristici e dei libri fantasy). Lo stesso Apuleio, nell’incipit dell’opera, avverte il lettore sulla natura del suo racconto: «lector intende: laetaberis», ovverosia «lettore, fai attenzione: ti divertirai».
En ecce praefamur veniam, siquid exotici ac forensis sermonis rudis locutor offendero (…). Lector intende: laetaberis.
Apuleio, Le Metamorfosi, Libro I, 13-15
Allora ecco, anticipo le scuse, poiché da rude narratore, ti offenderò con parole bizzarre e forestiere (…). Lettore stai attento: ti divertirai.
In molti sono debitori di Apuleio: Boccaccio e il suo Decameron, che ne replica le peripezie erotiche e la struttura di «storia di storie», esattamente come le successive Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer; ne traggono insegnamenti e ispirazione Joyce e l’Ulisse, Cervantes e il Don Chisciotte; persino La bella e la bestia ha un debito con uno dei racconti più noti delle Metamorfosi, intitolato Amore e Psiche e così Pinocchio, quando Collodi, gli fa spuntar le orecchie da mulo e lo porta a una metamorfosi indesiderata. In estrema sintesi, l’opera di Apuleio, racconta di quel che accade a Lucio, apprendista mago, che pasticcia e si tramuta in un asino; da quel momento hanno inizio le sue traversie: verrà vessato, venduto, ceduto ai più strampalati padroni – compresa una setta di sacerdoti pervertiti – picchiato e quando è sul punto di togliersi la vita, la dea Iside si impietosirà e gli svelerà il rito misterico che gli consentirà di tornare uomo. Anche se Apuleio riconosce il debito con la tradizione del romanzo ellenistico e delle novelle milesie (una raccolta di avventure erotiche attribuite ad Aristide di Mileto), nella sua opera partecipiamo, quindi, a qualcosa di più compiuto e profondo e cioè al percorso iniziatico di Lucio, che spinto dalla curiositas, mentre è ospite dell’usuraio Milone in Tessaglia, assiste di nascosto ad un incantesimo.
La moglie di Milone, infatti, pratica l’arte arcana e, durante un rituale, usando un unguento incantato, si trasforma in un gufo. Lucio tenta di ripetere la magia e si cosparge con l’unguento, ma per un errore della sua complice, la serva Fotide, diventa un asino. Per tornare umano dovrà mangiare delle rose, che naturalmente Fotide promette di portargli l’indomani, ma nella notte dei briganti s’introducono nella proprietà per rubare e, credendolo un asino da soma, lo portano via. Il testo ha molti elementi in comune con l’opera di lingua greca Lucio o l’asino, un tempo attribuita a Luciano di Samosata, contemporaneo di Apuleio. Luciano di Samosata era un’autentica celebrità, noto per la perspicacia che si era guadagnato con operette corrosive che, con arguzia e ironia, mettevano in ridicolo la superstizione, i riti e le pratiche religiose e la fede nel paranormale.
Oggi si ritiene che Lucio o l’asino sia un testo apocrifo e l’autore viene indicato come “Pseudo Luciano”. È possibile che la base comune della storia circolasse già oralmente e abbia costituito, con le sue varianti, fonte d’ispirazione anche per Apuleio. Non si può, però, fare a meno di osservare che nella vita di Apuleio, la magia ha avuto un ruolo determinante: gli è valsa un’imputazione giudiziaria, per cui ha rischiato la pena capitale (la vicenda è descritta su Wikipedia). Apuleio aveva fama di taumaturgo e praticava di fatto, come guaritore, anche forme assimilabili alle arti magiche, quindi non c’è da meravigliarsi che il tema gli fosse proprio.
Siamo, inoltre, in un momento di crisi nella vita dell’Impero: il cosmopolitismo, il misticismo orientale, il consolidamento del cristianesimo, l’affermarsi del neoplatonismo contribuiscono a creare la percezione di una vita terrena che in sé è priva di valore. Apuleio è un neoplatonico (quindi considera l’esistenza di due mondi separati, quello dell’iperuranio, dove hanno sede il buono, il vero e il bello e questo nostro mondo, dove si scorgono solo ombre, prive di senso).
Apuleio, La favola di Amore e Psiche, Feltrinelli, 2020, pp. 179, EAN: 9788807903588
Apuleio, quindi, seguendo il principio di Plotino, secondo cui la filosofia è, oltre che dialettica, anche eros, amore per un sapere che trascende, sembra voler indicare con questo romanzo un percorso di liberazione attraverso la passione e la conoscenza, attraverso la curiosità (curiositas) e le avversità, e lo fa usando un registro basso, popolare e con vicende che suscitano ilarità e compassione.
Crea una struttura in undici libri, dove riserva l’undicesimo – l’ultimo – ai riti d’iniziazione e ai culti misterici, riprendendo, in tal senso, la carica simbolica del numero 11, che in molti culti indicava il cambiamento. Sant’Agostino citerà l’opera nel suo De civitate Dei, con il titolo L’asino d’oro (Asinus aureus) e da quel momento, per non confonderla con Le Metamorfosi di Ovidio, l’opera verrà chiamata in quel modo. Caduta nell’oblio nel corso del Medioevo, sarà riscoperta da Boccaccio, studioso a Montecassino, e la prima traduzione in volgare verrà curata – anche questo non è un caso – da Matteo Maria Boiardo (autore del poema cavalleresco, fantastico e magico, Orlando innamorato, che fonde l’epica del ciclo carolingio con le atmosfere romantiche e fiabesche del ciclo bretone).
Tematiche: magia, religione, erotismo, picaresco, mitologia, fantastico, libri divertenti
Riassunto: una piacevole sintesi di Matilde Quarti su Weschool
Approfondimento: un excursus appassionato, ricco di curiosità e dettagli su Illuminazioni.
Continua l’elenco dei libri divertenti e degli scrittori umoristici dal II al XVIII Secolo
L’excursus sulla storia della letteratura umoristica, le commedie e gli autori che hanno scritto opere divertenti continua con questi scrittori umoristici e libri da leggere di natura satirica